La newsletter #5: l'energia di luglio tra forza, riconnessione e intenzione
- Martina Carrubba
- 2 apr
- Tempo di lettura: 4 min
Questo mese arrivo nella tua casella con qualche giorno di ritardo perché sono successe tante cose e volevo prendermi il giusto tempo per mettere insieme le idee e dare valore a questo momento dedicato alla scrittura e allo yoga, che, come sai, sono entrambe parte fondamentale del mio percorso di crescita ed evoluzione. A giugno infatti ho ripreso a tenere un diario della pratica (puoi trovarne qualche paragrafo in questo post), per farti capire quanto in profondità lo yoga possa aiutarci a scavare in profondità dentro di noi e riconnetterci con emozioni forse sopite, forse messe da parte appositamente dalla nostra psiche per evitare la sofferenza (i cosiddetti “meccanismi di difesa”).
Perché sono tornata a scrivere? Credo che sia tutto partito dalla volontà di mettermi in discussione ancora una volta, come praticante e come insegnante. La riflessione di partenza è stata: quanto sono attaccata all’idea di me come insegnante di yoga? Quanto voglio corrispondere a questo ruolo, a questa forma e a ciò che ci si aspetta da me come tale? Mi è rimasta molto impressa una frase di una mia amica, che un paio di settimane fa mi ha detto “sei stata coraggiosa a lasciare tutto per dedicarti allo yoga”. E io ho pensato: davvero sono coraggiosa? A dire la verità, credo di no. Credo invece che la mia sia stata una decisione razionale, ponderata e meditata a lungo. E credo soprattutto un’altra cosa: credo che, in quel momento della mia vita, fosse l’unica cosa possibile. Certo l’istinto mi ha guidata tanto, l’ho ascoltato e ho agito. Ma non è stata una questione di coraggio. Quando l’anno scorso ho deciso di lasciare il mio vecchio lavoro sapevo che la mia era un’esigenza vera e propria e che avrei trovato il modo di renderla la mia realtà.
Lo yoga mi ha insegnato una cosa preziosissima, il non attaccamento: non voglio attaccarmi a questa identità né alle etichette che le si addicono. Se e quando avrò esaurito quello che ho da dire o da trasmettere, voglio essere pronta a lasciarla andare e cambiare di nuovo. Non credo che questo sia irrazionale. Credo che sia invece un dono meraviglioso che solo lo yoga in questa vita mi avrebbe saputo dare.
Io non sono quella persona che ti dirà “ma sì, fai come me, molla tutto e segui la tua passione, così sarai felice”. Non credo nella filosofia del “se vuoi puoi” e soprattutto non credo che nell’associazione fare il lavoro dei sogni=sentirsi realizzati e appagati. Lo yoga mi ha insegnato che la realizzazione è uno stato di coscienza in cui ci si sente così sereni e saldi nell’essere ciò che si è da non desiderare altro. Capite che questo non può risolversi in un nel trovare il lavoro x, interpretare il ruolo y, né tantomeno nel possedere o ottenere qualcosa.
Spesso in Yoga 360 abbiamo riflettuto su cosa significhi sentirsi realizzati. Per come la vedo io, realizzazione non è raggiungere un obiettivo, è accettarsi e amarsi a prescindere da quanti obiettivi raggiungi. Legare la propria immagine di sé (e quindi la propria autostima) a quanti successi abbiamo ottenuto ci lega a doppio filo a una logica malata per cui se non ci arrivo non valgo niente.
Io non voglio questo. Non voglio legittimare me stessa in quanto insegnante di yoga. Voglio che, se domattina dovessi svegliarmi e accorgermi che di non voler più fare questo lavoro, io possa continuare a sentirmi salda in me stessa, radicata nel mio io più autentico che non si identifica nel ruolo che in questo momento la mia persona fisica sta rivestendo. Voglio essere fluida come l’acqua, senza smettere di essere radicata come terra.
Abbiamo utilizzato spesso, negli ultimi mesi, questi due elementi come metafore del nostro sentire e agire nella pratica così come nella vita: l’importanza dell’elemento acqua, che si adatta e muta forma costantemente, che ci fa tollerare e accettare il continuo cambiamento che è alla base di questa vita; e la complementarità dell’elemento terra, che dà solidità (letteralmente “la terra sotto i piedi”), sicurezza, protezione. La dualità che ci rende malleabili senza perdere il nostro centro è stato uno dei temi che hanno caratterizzato le pratiche di giugno.
L’altra parola-chiave delle pratiche di giugno è stata Sankalpa. Dal sanscrito san, “connessione con la verità più alta” e kalpa, “voto, promessa”, sankalpa è l’intenzione che portiamo nella pratica, dentro e fuori il tappetino. Può essere ripetuto internamente sotto forma di una parola o di una breve frase affermativa che rappresenti il nostro perché: perché continuiamo a tornare sul tappetino? Quale progetto abbiamo immaginato per noi stessi quando abbiamo iniziato a praticare? Sankalpa è il motivo per cui giorno dopo giorno cerchiamo lo yoga, un motivo che cambia e si evolve costantemente insieme a noi ma che allo stesso tempo è legato a un bisogno talmente profondo da essere immutabile: quello di essere centrati in noi stessi, quello di non perdere la nostra essenza a prescindere da quanti cambiamenti attraverseremo e ci attraverseranno. Quello che ti invito a chiederti oggi è: perché torno su questo tappetino, ancora e ancora? Trova una frase o una parola semplice e intuitiva, scrivila su un foglio e custodiscila.
Quando perdi la motivazione, quando ti sfugge il senso della tua pratica (sì, può capitare!) torna al tuo Sankalpa. Se lo senti ancora vicino, ti darà la motivazione per continuare. Se non ti rappresenta più, sentiti liberə di lasciarlo andare per fare spazio a qualcosa che sia più vicino a te in quel momento.
Perché è così importante l'intenzione per l'evoluzione della nostra pratica? Perché lo yoga senza questa connessione profonda con i nostri bisogni è solo stretching. Sankalpa può cambiare nel tempo ed è giusto che sia così. Percepire quel cambiamento è affinare l’ascolto, e affinare l’ascolto per conoscere se stessi è uno degli obiettivi della pratica (Svādhyāya, lo “studio di sé”).
La letterina del mese si conclude qui. Voglio lasciarti con un piccolo spoiler sulle pratiche di luglio: la parola chiave sarà forza, intesa non come potere che prevarica ma come facoltà di trovare in sé le risorse necessarie per sostenersi, radicarsi, essere saldi nelle proprie azioni e nel proprio spazio mentale. Ti dirò di più su questo nella prossima newsletter :)
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